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martedì 20 agosto 2013

Yoga Nomade 6 e Gioia Lussana



Cari amici dello Yoga Nomade siamo arrivati a presentare un nuovo importante appuntamento:
Lo Yoga Nomade 6 al Castello dell'Arancia ( Tolentino ) Domenica 8 Settembre 2013 alle ore 9,30.
Sarà uno speciale incontro dove si avrà anche la possibilità di fruire di una lezione dello yoga del Kasmir
con la splendida Gioia Lussana.





Asana come spazio aperto, che lascia accadere la vita


Asana è sedersi in uno spazio vuoto, non è abitare una forma conosciuta o prestabilita, ma entrare consapevolmente in uno spazio vivo, un luogo da esplorare senza preconcetti o certezze, prendere una forma che liberamente si allarga nel senza forma (è chiudere il corpo in una forma, senza serrare niente come dice sapientemente Eric Baret), è abitare senza ingombrare, ammobiliare, ma accogliendo, ascoltando, lasciando spazio allo spazio.

La prima indicazione è dunque: smantellare, decostruire, deporre: quindi stare, nel vuoto, presenti. Riempire non ha niente a che fare con la pienezza: la vera pienezza è più piena quanto più si svuota, quando lascia il posto per il nuovo, l’imprevisto, il diverso. Questo vuoto è quindi pieno di…attesa, un’attesa senza aspettative, una disponibilità all’ignoto. La pausa respiratoria, a pieno o a vuoto, è sempre khumbha, il vaso aperto che contiene lo spazio della vita. Asana è diventare attraversabili e dissolversi nell’abbandono di ciò che era la nostra forma solida. Ciò che addensiamo diviene duro, meccanico, doloroso. La pausa, lo spazio tra le cose, rende vive le cose. In quella sospensione si può nascere e morire, in quella apertura accade la vita. E la vita è morbidezza, è farsi fluidi, scorrendo tra gli spazi delle cose, senza fretta, senza scopo con piacere. Il contatto, il confine, il limite si trasformano in luoghi della relazione, con lo spazio sopra, sotto, dentro e fuori di noi.

La radice sphāy (sphāyate), da cui deriva spazio, significa tendere, estendere, gonfiare, quindi allargare, far respirare il vuoto nel vuoto e ha una valenza pulsante, vibratoria, risonante (sphay è anche risuonare). Lo spazio non è quindi qualcosa di inerte o fermo, ma è diffondersi aumentando di volume, riempiendo di vita ciò che è spalancato. Lo spazio dell’asana è quindi un luogo vivo, pieno, cangiante come l’alito del respiro che ne cambia i contorni.

Perché l’asana si compia è necessario entrare in una forma che rappresenti la libertà da tutte le forme, è necessario diventare il templum, tradizionalmente quella porzione di cielo che l’augure osservava per trarne presagi. E’ diventare kshetra, il campo aperto dell’esperienza. Esiste dunque uno spazio prescelto in cui il rito dell’asana di compie in una forma delimitata e questo spazio è il corpo. La delimitazione del luogo non implica però una restrizione coatta del campo di esplorazione, né un porre limiti alla libertà o profondità dell’esperienza. E’ vero il contrario: nello Yoga la continenza non è mai coazione repressiva o chiusura, ma è piuttosto quella custodia interna, quel farsi grembo, che mette le ali alla libertà della coscienza, poiché il corpo stesso diventa cielo infinito.

L’asana deve diventare kha: spazio cavo, rotondo, accogliente come un seno, quel vuoto che contiene i semi di tutte le potenzialità. L’infinita rotondità del cielo è kha come il vuoto centrale della ruota, che può diventare su-kha o duh-kha, nella sconfinata libertà del suo spazio interno che contiene tutti gli opposti. L’asana si compie quando ci dimentichiamo del corpo e ci perdiamo coscientemente nella vastità di akasha. Dimorando in asana diventiamo cielo (da koilos, cavo), il vuoto gonfio della coscienza espansa. Patanjali descrive due possibili strade: l’asana si prende o rilasciando lo sforzo muscolare, prayatna shaitilya, o realizzando la mente infinita, ananta samapatti. In ambedue i casi si tratta di lasciare andare e ‘fare spazio’.
Asana è un lasciarsi abitare, spalancandosi, andando oltre, slanciandosi da una determinata forma. Il cielo è rotondo e in asana diventiamo attitudine ravvolta, kunda, ma non chiusa: kundalini è l’energia che si drizza risalendo a spirale dalla sua rotondità fino a divenire khecari, colei che vaga nello spazio, liberamente. Questa è l’attitudine risvegliata della coscienza che lo yogin incarna nello spazio protetto dell’asana.
Incarnare è lasciarsi impregnare dall’aria, dal profumo, dal calore dell’energia vitale e dissolversi in essa.

                                                                                                                                Gioia Lussana

Insegnante yoga (Y.A.N.I.) e docente di tantrismo nella Scuola di formazione per insegnanti yoga dell’U.P.S. (Università Popolare dello Sport) a Roma, Gioia Lussana si è Laureata cum laude in Indologia con R.Gnoli e R.Torella, ha approfondito in particolare il tantrismo kashmiro di matrice shivaita non duale. Nel 1987 è stata co-fondatrice dell'A.ME.CO (Associazione per la Meditazione di Consapevolezza) con Corrado Pensa e per oltre 20 anni ha approfondito la meditazione vipassana con maestri del buddhismo contemporaneo. Ha ottenuto il Diploma intermediate, riconosciuto dall'Università di Pechino, nelle pratiche di Qi Gong del taoismo tradizionale cinese. Promotrice di eventi e cultura dello Yoga, è stata nel comitato scientifico del primo Yoga Festival a Roma nel 2008. Conduce seminari di approfondimento della pratica yoga, collegandola allo studio dei testi tradizionali e tiene a Roma regolari corsi di hatha-yoga. Ha pubblicato articoli e saggi sullo Yoga in riviste scientifiche (Rivista di Studi Orientali) e divulgative (Appunti di Viaggio). Sta attualmente svolgendo con il prof. R.Torella un Dottorato presso l’Università La Sapienza di Roma con una ricerca sul significato dello Yoga in India nella originaria tradizione shakta ispirata al culto della Grande Dea. Per informazioni sull'evento chiamare Max Gesualdi: 3339979941

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